FAKE NEWS E DISINFORMAZIONESULL’ABORTO – Notizie PROVITA Anno VII – Luglio/Agosto 2018. Rivista mensile n. 65

FAKE NEWS E DISINFORMAZIONE SULL’ABORTO

di  Francesca Romana Poleggi

 

Sistematicamente la propaganda abortista, da più di 40 anni, propala menzogne per legit-timare moralmente, prima che legalmente, la soppressione della vita nel grembo materno, con grave detrimento anche per la salute della madre.
Per confutare alcune di queste fake news, con il professore Giuseppe Noia (direttore dell’Hospice Perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali Policlinico Gemelli di Roma e presidente dell’Aigoc) e la dottoressa Marina Bellia (European Biologist del Grup-po Ricerca Biomedi@ presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum) abbiamo inviato alla rivista scientifica internazionale del Campus Biomedico Medic un corposo articolo intitolato Fake news e aborto, che sarà pubblicato nel 2019. Ad esso rimandiamo i Lettori che vorranno approfondire i temi che qui vengono accennati.

 

Nell’era di internet girano notizie di ogni tipo, anche tante bugie e mezze verità. Per difendersi da esse occorre spirito critico e senso di responsabilità. A livello nazionale ed europeo c’è chi vorrebbe istituire una sorta di “Ministero della Verità”, di orwelliana memoria. Invece, fa notare giustamente il Garante per la privacy, Antonello Soro, nella sua ultima relazione annuale: «in democrazia l’esattezza non è conseguibile altrimenti che con il pluralismo dialettico» ed «è illusorio pensare che possano esistere nuove autorità od organi certificatori della verità».

Le fake news vanno contrastate con l’educazione al pensiero critico, con la sistematica verifica delle fonti, con il senso di responsabilità di chi opera in internet e nel settore dell’informazione.

Purtroppo, poi, le notizie false, falsate o le reticenze colpevoli vengono veicolate anche dai grandi mass media e dalla letteratura ufficiale. Un esempio recente ed eclatante – teso a colpire e ad annichilire il diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario – è la favola della donna veneta che ha cercato di abortire in 23 ospedali, prima di riuscirci: la Cgil la ha assistita nella denuncia. La bugia è stata pubblicata anche da grandi quotidiani, come Il Corriere della Sera, ma poi la magistratura ha accertato che era tutta una bugia e che l’aborto si è svolto nei limiti di tempo previsti. Il Corriere, però, ha pubblicato la notizia sulla prima pagina dell’edizione nazionale; due volte, la smentita solo sull’edizione regionale veneta.

Le smentite – magari facili – spesso non ottengono la stessa risonanza mediatica dei falsi, soprattutto quando entra in ballo l’ideologia. Sistematicamente, infatti, da più di quarant’anni la propaganda abortista usa le menzogne per legittimare moralmente, prima che legalmente, la soppressione dell’essere umano nel grembo materno, con grave detrimento anche per la salute della madre. E purtroppo ne soffre anche la comunità scientifica: il dato reale, il dato scientifico, cede dinanzi a impostazioni ideologiche preconcette, con grave detrimento per la salute delle persone e per il benessere della collettività. Vediamo alcuni esempi.

L’embrione è solo un “grumo di cellule”?

I nostri Lettori sono bene informati: in diverse occasioni abbiamo illustrato le evidenze sull’umanità del bambino in grembo, sin dal momento del concepimento. Invece, ancora nel 2005, in occasione del referendum sulla legge 40/2004, i genetisti Edoardo Boncinelli e Antonino Forabosco – firmatari del documento «Ricerca e Salute», sottoscritto da più di 120 scienziati italiani tra embriologi, genetisti e biologi, tra i quali Rita Levi Montalcini, Umberto Veronesi, Renato Dulbecco, Lucio Luzzatto, Andrea Ballabio, Giulio Cossu, Alberto Piazza, e Carlo Alberto Redi – sostenevano che l’embrione è un insieme di cellule, e non un individuo: «L’evidenza scientifica è che l’embrione, un insieme di cellule, non è ancora un individuo», scrivevano i giornali (per esempio, l’8 maggio 2005, Il Piccolo di Trieste, nell’articolo La voce dei genetisti: «Un grumo di cellule non è un embrione»). Non vogliamo rischiare di annoiare, non ripeteremo in questa sede tutte le evidenze circa l’umanità del concepito. Ricordiamo solo che lo zigote si sviluppa attraverso la fase embrionale e fetale e poi attraverso l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta e la “terza età” senza soluzione di continuità.

L’embrione unicellulare (lo zigote) è giustamente definito dal British Medical Journal, nell’editoriale del novembre del 2000, come un soggetto autonomo, «un attivo direttore d’orchestra del suo impianto e del suo destino futuro». La “neolingua”, invece, da più di quarant’anni ha provveduto a cancellare parole come “bambino” e “figlio” sostituendole con “materiale abortivo”, “prodotto del concepimento”, o al massimo con aridi termini scientifici come “feto”. È ora di rimettere al centro il bambino. Perché se non si riconosce l’umanità del concepito, qualsiasi riflessione sull’aborto – che uccide un bambino, appunto – viene falsata.

L’aborto è espressione della libera scelta della donna?

Anche se l’aborto fosse un vero atto di autodeterminazione, l’umanità del concepito pone – a una mente razionale e priva di preconcetti – un problema insormontabile: non è più una auto-determinazione della madre il disporre a piacimento della vita del figlio. È un regresso di civiltà di 2000 anni: nell’antica Roma vigeva lo ius vitae ac necis del pater familias. A parte questo, però, bisogna rimarcare che non è vero che l’aborto è frutto di una “libera scelta” della donna. Nella maggior parte dei casi la donna è costretta dalle circostanze o dalle persone che ha intorno (a cominciare dal padre del concepito): tutte le indagini statistiche lo confermano. Su questa rivista ne abbiamo parlaro in diverse occasioni, quando abbiamo pubblicato, grazie al contributo della Comunità Papa Giovanni XXIII, una serie di testimonianze di donne costrette a “scegliere” per l’aborto.

Ma la cosa più tragica è che le istituzioni, da quarant’anni, offrono alle donne incinte in difficoltà – come unica soluzione l’aborto: solo il volontariato prospetta davvero delle alternative. La società ne risulta totalmente deresponsabilizzata: la donna che abortisce si ritrova con le stesse difficoltà economiche o sociali che aveva prima e in più madre di un figlio morto per causa sua.

Gli obiettori di coscienza impediscono alle donne di esercitare un loro “diritto”?

L’obiezione di coscienza è sotto attacco. All’estero, in diversi Paesi sedicenti democratici come quelli del nord Europa o il Canada, il diritto di non uccidere viene fortemente limitato, se non escluso del tutto. Qui in Italia ripetono a ogni piè sospinto che l’alta percentuale di medici obiettori impedisce alle donne di esercitare la loro “libera scelta”.

Invece, la tabella riportata a p. 51 della più recente Relazione ministeriale sull’attuazione della legge 194 (dicembre 2017), dimostra che non è affatto vero.

I ginecologi obiettori sono più del 70% del totale e i cattolici praticanti sono forse il 20% della popolazione: possibile che la percentuale di cattolici tra i ginecologi sia tanto più alta della media nazionale? Non sarà forse la ragione naturale a impedire a un medico di uccidere le persone? Rimandiamo alla suddetta Relazione ministeriale per altri dati: il carico di lavoro dei medici non obiettori è davvero irrisorio. L’11% del personale non obiettore, a livello nazionale, non è assegnato a servizi relativi all’aborto. Ciò vuol dire che i medici non obiettori sono più che sufficienti rispetto alla richiesta di aborti che c’è.

Ricordiamo infine che l’Italia non è mai stata “condannata dall’Europa” – altra bugia ricorrente – a proposito di obiezione di coscienza. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si è espresso definitivamente lo scorso luglio dopo due reclami (della Ippf-En e della Cgil), riguardanti aborto e obiezione di coscienza, dando ragione agli obiettori.

20.000 donne morte ogni anno per aborto clandestino?

 

Sull’aborto clandestino le menzogne enormi rientrano in una strategia ben precisa, rivelata da un abortista pentito, il dottor Bernard Nathanson.

Co-fondatore della National Abortion Rights Action League, dopo la sua conversione rivelò che avevano deciso a tavolino di mentire spudoratamente, negli Stati Uniti, per ottenere la legalizzazione dell’aborto nel 1973: inventarono di sana pianta «un milione di aborti clandestini l’anno» e le «centinaia di migliaia» di donne morte in conseguenza ad esso.

In Italia, negli Settanta, chi diceva che ogni anno morivano 20.000 donne per aborto clandestino? Enrico Berlinguer, ne La legge sull’aborto, pubblicato da Editori Riuniti (e poi anche S. Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, pubblicato dalla Donzelli nel 2004, o G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge per Mondadori nel 2008). Oggi rilancia le stesse menzogne il Dipartimento di storia e cultura dell’Università di Bologna (consultabile a questo link: https://storicamente.org/ perini_aborto_italia_usa_link5). Sul sito dell’Istat, invece, chiunque può controllare che, ad esempio nel 1977 (prima dell’entrata in vigore della legge 194), il totale di donne morte, tra i 15 ai 50 anni, per qualsiasi causa era di 3.348.

L’aborto legale è un aborto sicuro?

La bugia delle donne morte per aborto clandestino si accompagna a un corollario: l’aborto legale è un aborto sicuro, le conseguenze per la salute fisica e psichica delle donne sono trascurabili. Anzi, accusano noi di propalare fake news poiché chiediamo che alle donne venga fornita un’informazione veritiera e corretta sulle possibili conseguenze dell’aborto procurato.

Anche su questo tema i nostri Lettori conoscono bene la realtà, avendo avuto modo di leggere il libretto di Lorenza Perfori Per la salute delle donne. Inoltre, nelle Relazioni ministeriali degli ultimi anni è ripetuto ogni volta che «molte Regioni non hanno ancora aggiornato i loro sistemi di raccolta dati per poter riportare l’informazione in maniera completa»: ciò vuol dire che dati ufficiali circa l’incidenza reale delle conseguenze fisiche a breve termine dell’aborto sulla salute delle donne sono incompleti. Delle conseguenze a lungo termine, tipo sterilità o problemi relativi a successive gravidanze, invece, la Relazione non parla proprio. Di aborto legale, inoltre, si può anche morire (e si muore), ma non bisogna dirlo. E l’aborto con RU486 comporta un rischio di morte dieci volte maggiore rispetto all’aborto chirurgico, mentre i Radicali ne vogliono la liberalizzazione totale…

L’aborto legale riduce la mortalità materna?

E’ molto interessante, invece, a proposito di mortalità materna nel mondo, vedere i dati più recenti, del 2015, dell’Organizzazione mondiale della sanità: nei Paesi dove la legislazione dell’aborto è più restrittiva, la mortalità materna è molto bassa. Tra gli Stati “evoluti”, in USA la mortalità materna è di 14 donne su 100.000, nel Regno Unito è di 9 su 100.000, in Francia è di 8 su 100.000: tutti Paesi con legislazioni abortiste estremamente liberali. Ebbene, l’Irlanda, che fino al referendum di fine maggio non aveva l’aborto legale, presenta lo stesso tasso della Francia. Il Canada è a 7, la Norvegia a 5, la Svezia, la Germania e l’Italia a 4. Ma indovinate chi è che batte tutti questi “campioni” di aborto legale a richiesta e gratuito? La Polonia, dove la legge è molto restrittiva, che ha un tasso di mortalità materna di 3 donne su 100.000. Se poi calcoliamo la mortalità delle donne anche nel medio-lungo periodo, alcuni studi finlandesi (2015, 2016) e danesi (2012), basati su registri nazionali, mostrano che l’aborto è associato a maggiore mortalità femminile per cause indirette e che la gravidanza e il parto hanno un effetto protettivo, ad esempio rispetto al rischio di suicidio.

La sindrome post aborto non esiste?

Un altro leit motiv degli abortisti è che la sindrome post aborto non esiste. In proposito scrive il professor Noia: «Com’è possibile che tutta la dimensione simbiotica (il feto è addirittura medico della madre!), quando viene interrotta, possa non comportare conseguenze sul piano psicologico e fisico? Noi tutti sappiamo quanta solitudine del cuore abbiamo, quanta tristezza si verifica dopo un lutto. E perché la natura umana dovrebbe fare un distinguo in base ai centimetri e ai grammi del figlio che si perde? Diventa, quindi, poco credibile affermare che la perdita di un figlio, qualunque siano le sue dimensioni, sia irrilevante per la salute della donna, soprattutto se questo evento non avviene naturalmente ma come una precisa scelta volontaria della madre verso il figlio. Affermare che, sulla base di studi datati e controversi, non ci siano problematiche sulla salute psicologica delle donne dopo un aborto volontario, è quanto di più anti scientifico si possa dire».

E quando gli abortisti presentano “studi scientifici” che “dimostrano” che la sindrome post aborto non esiste, sappiate che per ognuno dei loro ce ne sono cento che affermano esattamente il contrario. Il vulnus che li accomuna è che ricercano gli stati depressivi, l’ansia, gli istinti suicidi in donne che hanno appena abortito, nel breve periodo. Invece tutti gli psicoterapeuti onesti sanno che la sindrome si manifesta in tutta la sua virulenza anche molto tempo dopo l’aborto: all’inizio molte donne fanno opera di rimozione e non elaborano il lutto. Poi dopo anni, a volte decenni, si chiedono il perché di certi disturbi. E noi ci chiediamo perché le cronache ci raccontino di tante tragedie familiari (figlicidi, omicidi-suicidi, violenze e abusi su bambini) che sembrerebbero immotivate… Un capitolo a parte, infatti, si dovrebbe aprire a proposito delle ripercussioni psicologiche che ha l’aborto sulle altre persone coinvolte, oltre alla madre: dal padre, agli altri familiari, agli operatori sanitari che vi prendono parte.

La disinformazione ha permesso la legalizzazione dell’aborto in Italia e all’estero e, da ultimo, anche in Irlanda, come potrete leggere in queste pagine, dove il professor Bottone scrive che «è impossibile combattere con un’inesorabile e continua disinformazione che per anni, decenni, ha corroso un popolo una volta cristiano». Lo sappiamo bene, perché lo abbiamo vissuto anche sulla nostra pelle. Ma non è “impossibile” cambiare rotta. E’ molto difficile, ma è una sfida che ciascuno di noi, capillarmente, nell’ambito della sua famiglia e delle sue conoscenze, con l’aiuto dei social e della “controinformazione” è chiamato ad accettare. Per salvare delle vite umane, per salvare il nostro futuro e – come dice anche Bottone, e non è poco – per salvarsi l’anima.

https://www.notizieprovita.it/aborto-cat/notizie-provita-di-luglioagosto-fake-news-sullaborto/

 

 

 

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